Ore 21 Sala del consiglio Comunale di Calcinate (Bergamo)
Inaugurazione di "Polifonie di Sguardi" (2010 - sesta edizione)
Serata Istituzionale
Presentazione ufficiale del video dedicato a Italo Tibaldi e Hanna Weiss.
Intervista/testimonianza del Dottor Berardo De Beni (figlio di un Giusto riconosciuto dallo Yad Vashem)
La serata è organizzata da:
Con la partecipazione di: Amministrazione Comunale di Palosco
Direzione Artistica di: Àrhat Teatro
Presso Centro San Rocco Calcinate (Bergamo)
Gruppo Teatrandum
Presso Centro San Rocco Calcinate (Bergamo)
(Spettacolo teatrale... sull'inferno di Auschwitz)
Ingresso Gratuito
(I posti in sala sono limitati. È consigliata prenotazione presso Àrhat Teatro Telefono 3289154243)
Punti di vista attorno alla guerra, non una guerra particolare, ma le migliaia di guerre che ogni giorno da migliaia di anni accompagnano la vita dell’uomo. La guerra vista dalle madri, la guerra degli innocenti, la guerra della distruzione di massa, la guerra degli esaltati, la guerra vista da chi non l’ha mai provata sulla propria pelle. Perché la guerra non la vive solo chi si trova al fronte a combattere, ma tutti sono coinvolti, e tutti per tutta la propria vita.
"Il suo viso è rivolto verso il passato. Laddove noi percepiamo una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che continua ad ammucchiare relitti su relitti e li getta ai suoi piedi..."
(Walter Benjamin)
Auschwitz: un nome che si abbatte sulla/nella storia, che mette in moto un'onda di reazioni, che continua a scavare dentro di noi, a interrogare con nuove e vecchie domande, a soffiare forte sulle corde anche più "prossime" della "nostra" storia...
...un nome, un luogo, una tragedia che incutono timore e angoscia, che provocano rabbia e sgomento... e che pure, sempre più, è necessario affrontare senza ritrarre lo sguardo, pur consapevoli dei confini della pietas. È la crudezza della storia, unita alla sua complessità e alla violenza dell'uomo, che deve essere sondata, conosciuta, detta, ...fatta gesto, parola, azione/memoria forte e viva...
Da qui "Brausebad", questo spettacolo realizzato con un gruppo di corsisti/attori a conclusione di un corso particolare di teatro proposto da Àrhat Teatro.
Il laboratorio condotto ha centrato la sua attenzione su alcuni principi nodali del lavoro di training dell'attore che i grandi innovatori teatrali del novecento hanno sviluppato e fatto conoscere, rovesciando le linee canoniche su cui normalmente corre l'approccio con il teatro.
Si è lavorato essenzialmente attorno all'idea di un teatro in cui il corpo dell'attore è elemento sostanziale (e in esso, in un intreccio inscindibile ed estremamente materico, sta la parola... come suo prolungamento), un corpo che si riappropria di sotterranee e potenti capacità espressive e, man mano, di tecniche, perché ogni sua azione possa manifestarsi con pienezza e precisione in un complesso quadro di relazioni che poi lo spettacolo impone: dunque corpi in azione che sono vivi e "colpiscono" con la credibilità di questo loro "essere in vita" nel momento rappresentativo, azioni, gesti, immagini che sono stati incorporati e sanno sorprendere, tenere desta la necessaria, costante presenza dell'attore consentendo allo spettatore una partecipazione intensa fin dai primi "respiri" in cui si imbatte al momento dell'ingresso in sala.
I corpi degli attori hanno "fatto memoria" di un percorso "incorporandolo", quindi iniziando a gestirlo da "attori", una memoria che è parte di essi stessi, della loro complessità e dunque attiva, creativa, tesa all'oltre. "Brausebad" , ovvero doccia, la doccia finale dove il corpo diveniva "materiale del funzionamento della macchina dello sterminio".
Occorre ricordare, dando un senso alla memoria perché non resti stantio o celebrativo racconto, perché sappia incorporarsi in un organismo vivo facendosi testimonianza e nel contempo prospettiva.
È la stessa logica di questo cammino di teatro e, forse anche per questo vi è stato l'incontro con un tema che tanti timori continua a suscitare, o che è troppo spesso rivisitato unicamente come logoro "atto dovuto".
I corsisti /attori accolgono gli spettatori all'ingresso mentre i loro corpi raccontano, qui e ora, che dopo Auschwitz tutto ciò che si può fare è "raccontare di non saper più raccontare"... eppure raccontano e il loro incedere squarcia le solidità dello spettatore.
È un incedere anche fisico, verso il confine dello spazio scenico separato dallo spettatore (il campo), per conoscere "da dentro", per incorporare fino in fondo, per tentare da dentro un ultimo gesto creativo dei loro corpi... E qui l'impasto fra racconto e storia si mostra in tragedia, urlo... Brausebad... annientamento.
Ma da quella "camera bianca" (la sala del gas) gli attori riemergono e con la forza evocativa di ciò che è stato possono tornare tra a noi a interrogarsi, a interrogarci, a interrogare Dio stesso... a cogliere e tradurre rabbia e sgomento ("...davanti a loro la terra trema e le stelle non brillano più" Gioele 2,10), mentre ogni spettatore guardandosi allo specchio "si dice"... "può dirsi".
"E quella stanza bianca... si è formata dal soffocamento. E in fondo non è affatto una stanza, è un gesto..."
(David Grossmann)