All'interno del libro "I volti delle quadre", accanto a numerose e importanti testimonianze, è pubblicato anche un intervento di Pierluigi Castelli, che riportiamo integralmente, in cui si ripercorre questa esperienza quinquennale a partire da una rifessione sul teatro popolare.
Sito ufficiale della Quadra Marengo.
Fin da quando, giovane studente universitario, sono stato "rapito" dal teatro (nell'incontro avuto con colui che riconoscerò per tutto il mio cammino come il maestro e punto di riferimento professionale, Eugenio Barba con il suo Odin Teatret), ha sempre giocato su di me una particolare forza attrattiva, mista all'ovvia "curiosità culturale", l'esperienza dei cosiddetti teatri popolari così fortemente radicati in alcuni luoghi del nostro paese.
In questa ricerca ho conosciuto il "Bruscello" di Pienza e, nell'estate di ormai molti anni fa, ho avuto l'opportunità di incontrare il celeberrimo "Teatro povero di Montichiello" e di scambiare una serie di vedute con il suo regista Andrea Cresti (presentatomi da Marco Fè, amico comune, ma soprattutto profondo conoscitore di questo particolare percorso di tradizione teatrale popolare)... ma neppure lontanamente avrei immaginato che io stesso mi sarei trovato a dirigere alcuni spettacoli che, proprio in questo alveo, affondano la loro origine e traggono il loro senso più vero.
Conoscevo molto vagamente la tradizione popolare del "Palio delle Quadre" quando, nel 2003, mi si propose di dirigere lo spettacolo che da sempre precede il momento della corsa. Se la curiosità mi stimolava ad accettare, la mia formazione e i percorsi pedagogici, registici e attorali da sempre praticati mi inducevano necessariamente alla prudenza, temendo "lo snaturamento" di idee e convinzioni su cui avevo fondato tutta una vita di lavoro e di ricerca.
Partecipai al primo incontro con gli organizzatori nell' autunno di quell'anno con la convinzione di mostrare loro tutta la difficoltà insita nell'operazione: spiegai che il mio fare teatro non era riconducibile alle forme convenzionalmente adottate in tali contesti, che non mi riusciva di pensare ad uno spettacolo con una massa di "attori" impegnati a recitare un copione fatto di battute e controbattute, che non potevo immaginare un evento di tale portata senza un "impianto drammaturgico" che potesse essere/farsi azione coreografica dinamica, fortemente centrata sulla potenza dei corpi (più che della parola parlata), capace di divenire simbolo/metafora che apre piani diversi e possibili di lettura, coinvolgendo a livelli altri l'enorme platea degli spettatori abituati, da sempre, ad una "recitazione lineare" di una storia.
Su questa linea proposi un abbozzo molto primario di impianto di quello che a mio avviso doveva essere il minimo cui tendere, evidenziando tutte le difficoltà che vi intravedevo a partire dalle riflessioni esposte e pensando alla "totale inesperienza" di coloro che avrebbero dovuto essere "gli attori": ne uscii con un formale placet/incarico a prendere nelle mani la regia dello spettacolo del Palio del settembre 2004 che sarebbe stato dedicato alla vita di Franco Mazzotti (clarense, ideatore della mille miglia).
La convinzione e la caparbietà dei presidenti delle quattro Quadre e dei loro collaboratori non si erano lasciate scalfire, anzi in loro lessi la disponibilità unita alla voglia di un cambiamento che potesse essere forte e di prospettiva... e solo per questo fatto, e grazie ad esso, oggi mi ritrovo ancora qui... addirittura a rendere testimonianza di un'esperienza rinnovata negli anni (quest'anno, 2008, siamo alla quinta regia!) e dai tratti sempre più coinvolgenti ed entusiasmanti.
A questo punto mi si pone la questione del registro/piano su cui posso continuare, senza incorrere in banalizzazioni o melensaggini da sagre di paese svuotate nel tempo della vera essenza del rito che genera e ri-genera nel suo necessario compiersi ciclico. Significherebbe non rendere giustizia al processo evolutivo che "Le Quadre" hanno saputo innescare assumendo fino in fondo la sfida loro posta e di cui mi trovo ad essere co-generatore e co-attore partecipe e convinto.
L'esperienza presenta una miriade di sfaccettature, da quella socio-culturale, a quella umana e di relazione... fino all'aspetto più marcatamente sociologico, intrecciandosi sempre più con un "fare e un farsi" teatrale che è venuto man mano definendosi anche sul versante di quello che, in ambito specifico, chiameremmo "la formazione dell'attore".
Non posso certo soffermarmi compiutamente su ciascuno di questi momenti, né tantomeno posso ripercorrere la narrazione del processo dei quattro spettacoli fin qui realizzati e presentati (da Mazzotti ai Longobardi, dall'omaggio all'amico musicista, clarense, Mauro Pagani alla rievocazione della peste del '600) intrisi ciascuno di un vortice di situazioni di grande interesse sul piano umano e del consolidarsi di rapporti, nonché su quello culturale.
Ritengo invece di dover provare a dar conto del cammino teatrale operato. Quando il primo anno domandai di quanto tempo avrei potuto disporre per le prove, mi sentii chiedere perché le prove fossero così necessarie, che sarebbe bastato, come d'abitudine, qualche suggerimento la sera prima per chi aveva delle parti da studiare (e dunque da ripetere "recitandole") e alcune indicazioni per tutta la serie di "figuranti" che solitamente si presentavano all'ultimo minuto (avrebbero potuto essere 100 o 150 persone!).
Il mio sconcerto fu totale e pari ad una sensazione di inquietudine come mai avevo avvertito. Riuscii nonostante tutto ad assicurarmi due o tre "tentativi" di prova in cui cercai di impostare scene di massa senza particolari vincoli rispetto alla musica, ma con alcuni punti di riferimento spaziali capaci di permettere almeno una sufficiente "distribuzione in tutto lo spazio della piazza" dell'ingente presenza di partecipanti che si prospettava, appoggiandomi sui più assidui perché potessero "in fieri dell'azione" farsi carico di chi aveva avuto solo sommarie indicazioni sul proprio ruolo (la massa dei popolani, il gruppo dei nobili, le donne bianche...).
Contai molto sulla possibilità di inserire un gruppo di sbandieratori già professionalmente ben preparato e un folto numero di adolescenti coordinate da due educatrici e normalmente impegnate in un corso di ginnastica artistica, nonché su alcune ragazze di una scuola di danza.
Inoltre non mi mancava certo l'incoraggiamento continuo degli organizzatori e collaboratori (costumisti, cercarobe, attrezzisti...).
Con straordinaria sorpresa i pochi punti fermi, alla fine, avevano fatto da fulcro, come ipotizzato nella mia scansione registica, catalizzando e "mettendo" in azione significativa tutto il resto: ad una sequenza degli sbandieratori faceva seguito un momento individualizzato di un personaggio centrale attorniato da una situazione di danza delle ragazze o delle adolescenti, quindi subentrava una imponente scena di massa con i popolani del tempo, i loro mestieri, i loro momenti di incontro... fino alla scena finale (sempre di massa) studiata su alcune geometrie essenziali tali da rendere l'immagine di una vera e propria coreografia, per di più enfatizzata dal volteggio delle bandiere, dagli effetti luminosi delle lampade di wood sulle cosiddette "donne bianche" e da una musica di particolare maestosità.
Lo scopo era raggiunto e, con esso, si apriva una nuova fase che ci avrebbe condotto fin qui.
Consolidato il clima di stima e di fiducia, si sono perfezionate alcune tappe divenute centrali per lo sviluppo di questo nuovo percorso dello spettacolo del "Palio delle Quadre":
Oggi come oggi credo di poter affermare che l'esperienza teatrale delle "Quadre" di Chiari non abbia nulla da invidiare a molti spettacoli di situazioni di teatro popolare che la tradizione e i media hanno fatto conoscere e reso celebri.
Ora spetta alle Istituzioni (locali e non) prendere in mano fino in fondo questo ricchissimo patrimonio perché possa volare oltre i confini geografici e divenire oggetto di attenzione anche di platee altre (sia in termini di spettatori che di studio): alcune esperienze condotte in contesti simili con altri registi, fortemente sostenute sul piano dei finanziamenti e dell'immagine (ad esempio il corteo manzoniano di Lecco curato dal Teatro Tascabile di Bergamo, con la regia generale di Renzo Vescovi e la collaborazione di altri cinque registi per altrettante singole scene), nonché la conoscenza di studi, riflessioni e pubblicazioni sulle stesse, mi portano ad affermare quanto sopra senza tema di smentite.
... e il tutto per merito caparbio di "attori non attori", dai sette ai settanta anni (oltre 200), tra cui pongo anche presidenti e collaboratori di ogni singola "Quadra", cui voglio indirizzare la mia grande ammirazione, il mio plauso e il grazie più vero, certo di interpretare anche il pensiero del mio attore-assistente Samuele Farina (con cui lavoro come gruppo professionale Àrhat Teatro), da sempre accanto a me in questo percorso che ha, per molti versi, i tratti dell'unicità.
Pierluigi Castelli
26 maggio 2008
Foto di Gigi Daldossi del memorabile spettacolo "Impressioni di settembre" dedicato nel 2006 al musicista e amico Mauro Pagani